giovedì 11 giugno 2015

Uno sguardo ad Expo

Ricordo il giorno di apertura di Expo con molta amarezza: nonostante il mio neonato entusiasmo, ho dovuto assistere impotente alla manifestazione della più folle follia di esseri che, pur di ottenere senza fatica un posto in questa società, sono disposti a mettere a fuoco e devastazione il loro Paese.
Milano, però, si è coraggiosamente rialzata in un batter di ciglio come, mio malgrado, anche le acute osservazioni di una buona parte di giornalisti.
C'è chi si è lamentato per l'incompletezza di alcuni padiglioni, chi per l'organizzazione e chi ha fatto del prezzario del cibo in Expo un vero e proprio caso di Stato.
Sul finire della prima settimana d'apertura, l'apoteosi del terrorismo: ad Expo non ci sono contenitori per il vetro, non ci sono posacenere per i fumatori, niente panchine e le case dell'acqua non funzionano!

Fortunatamente e come mai prima d'ora, però, il fanciullino che è in me ha continuato ad aspettare impaziente di vedere cosa fosse davvero questo Expo.

Credo di poter fare mio il pensiero esposto da Beppe Severgnini durante una pausa caffè a Casa Corriere : "L'Expo è il mondo come vorrebbe essere ma non è in grado di essere".
Lasciando da parte la particolarità architettonica di tutta la struttura, dai padiglioni al decumano, ho vissuto una giornata passando da una parte del mondo ad un'altra, osservando le più svariate culture immergersi senza problema alcuno in altre completamente diverse da loro.
Globalizzazione e incontro ma, più semplicemente, umanità che può manifestarsi senza problemi di colore, partito o religione.
Expo apre le porte la mattina come un grande e moderno museo dei popoli a cielo aperto per poi trasformarsi in una vera e propria festa con l'andare della giornata.
Stupendo,poi, è il connubio tra il ricevere informazioni in modo del tutto classico e
l'interattività sensoriale dell'intera esposizione.
Tutto ciò, chiaramente, con i propri pregi e difetti.
Infatti, sebbene i padiglioni siano tutti davvero belli, alcuni hanno perso per strada lo  spirito di questo Expo palesando un enorme fuori tema. Ma nulla di grave: ci si diverte moltissimo anche sulle altalene estoni sebbene l'argomento alimentazione non sia nemmeno lontanamente trattato e, in fondo, può servire a maturare un briciolo di spirito d'osservazione che non guasta mai.
Ma torniamo alle tante critiche.
La mancanza di panchine sul decumano è evidente: le persone più anziane potrebbero aver bisogno di rilassarsi un attimo durante la lunga passeggiata.
Evidente è anche la poca illuminazione serale al di fuori del decumano e dei luoghi animati dalla musica.
Mancanze tranquillamente rimediabili.
Altri difetti? In tutta sincerità non ne ho visti.

Non in Expo, per lo meno.
Il vero difetto è non volere rendersi conto di ciò che stiamo ospitando: molti italiani non avranno né un'altra occasione per vedere un'Esposizione Universale né, per di più, di vederne una in casa loro.
Si può amare l'Italia o odiarla, si può vederne i tanti difetti, si può essere del tutto stanchi o pieni di propositi per il futuro… Expo è, però, al di sopra di tutto ciò.
Questo avvenimento non è una fiera come tante, non è un museo o una mostra, non è nulla di conosciuto ma è sicuramente unico ed irripetibile e questa sua essenza non è di certo dovuta alla struttura organizzativa (più o meno ben fatta, che dir si voglia).
La specialità è insita, infatti, in noi visitatori: dipendentemente dallo sguardo, dallo spirito critico o dallo scetticismo con cui si decide di visitare Expo, ogni visitatore ne uscirà arricchito da un'esperienza del tutto personale e non descrivibile con un semplice aggettivo.
Largo all'entusiasmo o ai dubbi, insomma, ma di corsa in Expo!

giovedì 4 giugno 2015

Siamo davvero tutti Charlie Hebdo?

Lo studio delle humanae litterae, più semplicemente detto Umanesimo, si è affermato nel lontano periodo del Rinascimento italiano ed europeo.
Scostandosi nettamente da quello che era il sentire medievale, ad inizio del XV sec. si è iniziato a porre l'uomo al centro dell'universo.
Così, attraverso le scienze, l'uomo non avrebbe più avuto bisogno di sottostare a Dio o a leggi pseudo divine cessando quindi di essere solamente una marionetta manovrata da un dio più o meno magnanimo: la caratteristica per cui l'essere umano si differenzia da tutti gli altri esseri viventi, la coscienza, viene esaltata sino a percepire - finalmente - l'uomo come artefice del suo stesso destino.
Da quel momento è una corsa sostanzialmente in discesa: dalla filosofia alla medicina
sembra non esserci un momento d'arresto.

Almeno sino ad inizio 2015.

7 gennaio: al grido di "Allah è grande", due uomini armati di tutto punto hanno attaccato la sede parigina di Charlie Hebdo.
Dodici morti, molti feriti, tanta paura e troppo silenzio.

Certamente non è della disinformazione che parlo: giornali e TV non hanno tardato a far della notizia la tragedia del momento.
Sono passati poi giorni, edizioni speciali ed internazionali del giornale satirico francese, direttori di giornali apparsi in video anziché sul proprio quotidiano e continue minacce ad un'Europa succube e silenziosa davanti a questo nuovo demone che si fa chiamare Isis.
Ora, dopo quasi sei mesi, rimane solo qualcuno che lascia ancora qualche fiore nei pressi della decimata redazione.
Cosa resta, invece, di quell'identità europea figlia dell'Umanesimo?

Nonostante alcuni momenti di inaudita follia, l'Europa è sinonimo di civiltà e di cultura e, sebbene la legalità sia probabilmente un'utopia, abbiamo abbandonato lo stato di inciviltà molti secoli fa.
Dovremmo rifiutare fortemente qualsiasi forma di barbarie compiuta nei Nostri territori, soprattutto se figlia di ignoranza, insensata idolatria e di una società in cui a molte donne – giusto per fare un esempio – è permesso guardare il mondo solo da dietro una rete.
Non si assiste, però, a nulla di tutto ciò.
Appena accaduto il disastro di Charlie Hebdo, avrei sperato in qualche discorso da parte del mio o di altri Capi di Stato, rassicurazioni o punti della situazione. Ma nulla.
Allo stesso modo, tra la gente ho udito tante chiacchiere e tutte con un unico denominatore comune che, sorprendentemente, non era la paura ma una strana forma di indifferenza.

“Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”

Se il timore è del tutto lecito e concesso, inammissibile è accettare questo modo del tutto solitario di vivere: una forma di asocialità conseguenza del rifiuto della società attuale.
Eppure, per quanto non ci piaccia, ognuno di noi è parte di un tutto che, in questo caso, si chiama Italia, Francia, Germania… Europa, insomma.
Per quanto non ci si riconosca nel modus operandi di chi ricopre le tante poltrone, anche la storia presente è un nostro operato - proprio di tutti, sì -  e rivendicare o difendere la Nostra identità è un diritto ma, soprattutto, un dovere morale.
Chissà che, così facendo, qualcuno si ricorderà che c'è anche altro a cui badare oltre all'orto di casa propria.